Villa Sforzesca

Storia e vicende costruttive

L’anno di edificazione della Villa è fissato in maniera precisa dalla lapide posta sopra il portale d’ingresso al Palazzo: “ALEXANDER SFORTIA CARD. / SUBLATO DENSO NEMORE / RUS HOC INSTRUXIT / MDLXXVI” Il Cardinale Alessandro Sforza costruì la villa qui dove vi era un fittissimo bosco – 1576.
Ma la prima fonte documentaria risale a qualche anno prima, precisamente al 17 luglio 1563; in un atto testamentario del Cardinale Guido Ascanio Sforza, si fa riferimento alla donazione ad Alessandro Sforza di un territorio nella contea di Santa Fiora, sito in loc. “Valle Calda”, con facoltà di erigervi una “possessione” di non oltre un quarto di miglio di perimetro.

Alessandro Sforza, futuro costruttore della Villa, inizia la sua carriera ecclesiastica nella Curia Romana sulla scia del fratello maggiore Guido Ascanio, prima come Scrittore Apostolico, quindi Canonico e poi Presidente dell’Annona; come Vescovo di Parma partecipa al Concilio di Trento. Elevato alla porpora cardinalizia nel 1565 è prima arciprete dell’importante Basilica Romana di Santa Maria Maggiore, quindi prefetto della Segnatura di Grazia e Giustizia ed infine Legato dell’intero Stato Pontificio, ad esclusione di Bologna, con incarico particolare nella lotta al brigantaggio.

Quest’importante impegno, se da una parte lo pone come uno dei punti di riferimento della “politica interna” dello Stato Pontificio, dall’altro lo espone, a causa delle mansioni svolte dal suo ufficio a sempre più grandi pericoli che prematuramente, per cause non certo naturali, pongono fine alla sua carriera il 16 maggio 1581.
Una costruzione così imponente, in un territorio periferico come quello della contea di Santa Fiora, doveva essere la dimostrazione tangibile della potenza raggiunta da questo personaggio alla Corte Papale; non a caso il Papa Gregorio XIII nel settembre del 1578 affronta un disagevole viaggio per godere della “magnificenza della villa”.

Questo viaggio è importante soprattutto perché è stato descritto dettagliatamente e ci consente di avere uno spaccato preciso della Villa nel momento del suo massimo splendore: “et appresso comparve il signor cardinal Sforza, che, nobilissimamente accompagnato, veniva per condurlo alla sua Sforzesca…………….. Subito scoperta la cavalcata fu fatta alla Sforzesca una salva di artiglierie bellissima. Poi fu incontrata da uno squadrone di cinque insegne di fanteria, la quale, fatta una salva di archibugi, si pose in bella ordinanza……………..; il qual palazzo è posto nel territorio di Castello Azaro in parte assai piana, vicino a Santa Fiora, Proceno et altri castelli di quelli illustrissimi signori Sforzeschi nei confini di Siena.

Qui d’intorno vi sono bellissimi poderi pieni di cacce, di lepri, fagiani et starne, et dove è hora il palazzo era prima un bosco grandissimo, che fu tagliato et spianato da Sua Signoria Illustrissima; vi sono lunghissimi viali et spatiosi, et vigne assai, conducendosi hora un acqua, che servirà in grandissima copia per fontane nei giardini, et per uso del palazzo, ch’è sopra molto bello, con ampie sale et camere, le quali furono adornate tutte con abbellamenti di grandissimo valore, havendo fatto Sua Signoria Illustrissima tre paramenti per le finestre del Papa………………..Nella sala poi di questo palazzo sono pitture, che rappresentano tutte le attioni più chiare di Sua Signoria Illustrissima……………Lascio considerare ad ogn’uno quanto sia la grandezza di questo palazzo, che fu capace di ricettare agiatamente un Pontefice et tanti cardinali et signori con si gran numero di gente, non vi essendo altra casa o abitazione qui d’intorno, che questa.”

Per la costruzione della Villa il Cardinale si era, quasi sicuramente, affidato alla “impresa” degli architetti Giovanni e Domenico Fontana che in quel periodo svolgevano diversi lavori per la famiglia Sforza; vi sono vari documenti che attestano di questo rapporto ed in alcuni casi citano la Villa Sforzesca. In questa opera sembra che i Fontana si fossero uniti in società anche con i nipoti Carlo e Pompeo Maderno. Vi sono inoltre documenti che attestano, sia prima che dopo la data del 1576, i rapporti esistenti fra Giovanni Fontana ed il territorio di Castell’Azzara.

Nei confronti di una piccola comunità di montagna, quale era allora Castell’Azzara, dedita essenzialmente alla pastorizia e alle risorse dei prodotti del bosco, la Villa diviene un fatto dirompente, sia dal punto di vista economico che sociale con la bonifica e la messa a cultura di vasti terreni e la formazione degli appoderamenti mezzadrili; negli Statuti della Comunità di Castell’Azzara trovano ora posto regole precise di “convivenze” con questa nuova realtà cui non si rinuncia a farne ricorso nei casi di necessità (prestiti di grano).

I primi cinque anni, fino alla morte del Cardinale, sono certamente quelli di maggior splendore per la Villa, usata sia come residenza signorile e mondana, sia come base per la lotta al brigantaggio e come struttura agricola produttiva; successivamente, negli anni che vanno dal 1585 al 1623, la Sforzesca riveste una certa importanza divenendo la residenza preferita rispetto a Santa Fiora dei Conti Sforza e delle loro famiglie; la progressiva decadenza dei signori di Santa Fiora, porterà nel 1633 all’unione della Contea al Granducato di Toscana.

È certamente questo il periodo più delicato per le sorti della Villa, l’interesse degli Sforza è rivolto sempre più alla vita mondana di Roma, che richiede un forte impegno di capitali, la Contea è vista come un territorio di rapina, la Villa è sì importante come residenza ma gli spostamenti da Roma si fanno sempre più rari ed infine anche questo “palazzo” è usato come fonte di beni da mettere in liquidazione per il sostentamento della dispendiosa vita romana.

Si arriva così al 1763 e al “progetto di risanamento in Santa Fiora e feudi annessi a Castell’Azzara, Selvena e Sforzesca” redatto dal cavalier Antonio de’ Nobili, che per quanto riguarda la Villa ci fornisce un’importante documentazione grafica con la situazione dell’immobile a quel periodo, permettendoci una precisa ricostruzione dello schema architettonico.

Ai disegni si accompagna una relazione delle opere proposte e del loro costo, in cui si consiglia di abbattere le parti diroccate (liberando la porzione d’edificio da riutilizzare dalle strutture superflue) tamponando il fronte posteriore, per ottenere così un edificio non molto dissimile da quello attuale per essere utilizzato come fattoria e residenza dell’amministratore.
Dello stesso periodo (1765), in occasione delle trattative con il Granducato, per il mantenimento dei benefici feudali, vi è un inventario di tutte le possessioni della Contea in cui risultano esserci cinque poderi alla Sforzesca ed una rinata attività economica; un documento successivo (1785), fatto in occasione della legge granducale del 12 marzo 1784 che aboliva tutte le proprietà feudali e permetteva la vendita dei beni comunali e l’eliminazione di tutte le servitù, descrive il palazzo adibito a granaio e residenza dei contadini.

Nonostante la legge d’abolizione del feudo risalga al 1784, è necessario aspettare il 1814, con gli editti di Ferdinando II, successivi alla restaurazione, per vedere definitivamente tramontati i diritti feudali ed aprirsi la strada ad una rinascita economica che vedrà ancora una volta nella Sforzesca un importante centro di riferimento.
Con due atti proprio del 1814, i vasti terreni che dalla montagna di Castell’Azzara scendono fino ai confini a valle della Contea vengono ceduti in enfiteusi e poi in proprietà alla famiglia Menichetti, la quale per amministrare questo grande latifondo e nello stesso tempo per fornirsi di una residenza adeguata, decide il recupero della Villa Sforzesca.

Questo recupero, di cui mancano le fonti documentarie deve essere comunque molto approfondito se per ben due volte, nel 1829 e nel 1844 come attestato dalle due lapidi, il Granduca Leopoldo II vi risiede durante le sue visite ai confini meridionali.
Nel 1895 la Villa con il territorio adiacente passa alla famiglia Baiocchi di Abbadia San Salvatore ed inizia il periodo della seconda decadenza, non vi sono più le esigenze rappresentative dei Menichetti; vengono creati nuovi ambienti per la residenza dei contadini e per le rimesse agricole. Le cure che i Baiocchi mettono nella conduzione del fondo devono essere sempre minori se con la riforma agraria del 1950 questo viene completamente espropriato.

L’ente di riforma (Ente Maremma) che entra in possesso della Villa non dimostra nessun interesse nel suo utilizzo, il terreno viene suddiviso in poderi da assegnare ai coltivatori diretti che hanno a disposizione le nuove residenze, secondo uno schema produttivo parcellizzato che non richiede nessuna struttura di coordinamento locale, quindi la Villa può essere usata solo come rimessaggio, magazzino, deposito di attrezzi e macchinari agricoli, vi resta solo un’abitazione per un custode che svolge anche una piccola attività commerciale nei locali al piano terra.

Nel 1962 l’Ente Maremma si vede costretto ad intervenire per impedire i numerosi crolli che sempre più frequentemente si verificano; questo è un intervento grossolano, non certo di restauro ma di “semplice rifacimento” che porta all’abbattimento di considerevoli porzioni di murature dell’ultimo piano ed ha soltanto il merito di impedire lo sfascio definitivo del palazzo. La pesante copertura in laterocemento, la realizzazione di diverse strutture di sostegno in tufo, mattoni e cemento armato rappresentano un semplice “coperchio” ad un edificio vuoto, spogliato di molta sua storia, rendendo particolarmente arduo un qualsiasi tentativo di recupero in modo scientificamente fondato del complesso.

L’Amministrazione Comunale di Castell’Azzara dal 1975 ha iniziato ad interessarsi all’edifico con varie proposte di recupero funzionale e con il coinvolgimento della Regione Toscana che ha ereditato dall’Ente Maremma la struttura. Infatti con Delibera del Consiglio Regionale nell’ottobre del 1980 la Villa passa di proprietà al Comune di Castell’Azzara.

Le diverse proposte di recupero hanno trovato uno sbocco nei finanziamenti concessi per il giubileo 2.000 ed il progetto di restauro funzionale ha previsto la realizzazione di una struttura ricettiva per l’ospitalità povera (ostello, camere, sala per la ristorazione).
È stato avviato quindi un radicale restauro dell’intera struttura che, con il supporto degli scavi archeologici eseguiti e con i disegni settecenteschi ritrovati, ha recuperato completamente l’originario impianto architettonico, giustificando anche l’inserimento all’interno del suo perimetro dei nuovi locali di servizio indispensabili per la sua utilizzazione e la ricostruzione del piano sottotetto demolito nell’intervento del 1962 eseguito dall’Ente Maremma. All’interno è stato eseguito il restauro di tutte le decorazioni a strucco presenti sia nelle facciate che nelle gallerie del piano terra e del piano nobile, la realizzazione della pavimentazione in mattoni della corte interna nel rispetto dell’originario disegno, il restauro degli affreschi ancora superstiti all’interno di tre stanze del piano nobile.

Purtroppo ad oggi gli sforzi dell’Amministrazione Comunale di Castell’Azzara non hanno portato ad un effettivo utilizzo del bene, se non in sporadiche occasioni. La Villa è visitabile nei mesi estivi su prenotazione.

Crediamo che la Villa può ancora essere un elemento fondamentale dello sviluppo economico di questo territorio che con la sua “presenza” ha negli anni contribuito a trasformare.

Contatti

Aperti dal lunedì al venerdì, dalle 09:00 alle 13:30 e dalle 16:00 alle 19:00. Sabato dalle 09:00 alle 14:00.

Domenica chiusi.

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